Dubai transient city. Anatomia di un fenomeno post-urbano
DOI:
https://doi.org/10.19229/2464-9309/682019Parole chiave:
Dubai, frammentazione, dispersione urbana, distopia, transitorioAbstract
Nell’immaginario collettivo, Dubai è un’affascinante e dinamica giovane metropoli proiettata nel futuro. Diverse proposte urbanistiche hanno tentato di governare la sua rapida espansione, accelerata dalla scoperta del petrolio nel 1966. John Harris, George Candilis, lo studio milanese BBPR, Reima Pietilä e in tempi più recenti Norman Foster, OMA e altri hanno negli anni presentato proposte spesso velocemente superate dal suo inarrestabile sviluppo urbanistico. Oggi, le luci cangianti dello skyline di questo agglomerato urbano sorto improvvisamente dal deserto comunicano l’immagine audace di una città in cui fiction e realtà spesso si confondono. Ma cosa si nasconde dietro le scene di questo straordinario spettacolo urbano? La sua rapidissima e incontenibile crescita ha comportato diffusi fenomeni di urban sprawl e la proliferazione di junkspaces. Zone ad alta densità si alternano ad ampie aree inedificate e desertiche, in un paesaggio urbano frammentato che genera in molti expat europei un diffuso senso di straniamento ‘perturbante’. In una città Non-Città, dove centri commerciali e hotel diventano i principali centri di aggregazione sociale, la struttura urbana somiglia sempre più a una dis-connessione di Non-Luoghi, elevati al rango di landmark urbani. Saprà Dubai mostrare capacità di resilienza e rigenerazione urbana di fronte alle attuali veloci e imprevedibili trasformazioni degli equilibri economici e geopolitici nella regione del Golfo? L’obiettivo di questo saggio è di individuare le dinamiche che hanno determinato lo scenario distopico dell’attuale paesaggio urbano di Dubai, proponendo possibili soluzioni per mitigare l’impatto delle contraddizioni esistenti.
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